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Discalculia

Che cos’è la Discalculia?

Discalculia

La discalculia fa parte dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e riguarda le abilità matematiche e di calcolo. Fanno parte dei DSA anche dislessia, disortografia e disgrafia, di cui abbiamo già parlato in articoli precedenti. Oggi approfondiamo l’aspetto della discalculia, chiarendo alcuni punti fondamentali.

Fino ad adesso sono stati identificati almeno 2 profili di discalculia. Un primo profilo è relativo alle difficoltà nella cognizione numerica di base e l’altro è relativo alle difficoltà nelle procedure esecutive e del calcolo scritto.

Profilo 1: Discalculia e cognizione numerica di base

La cognizione numerica di base riguarda tutte quelle abilità innate che vengono sviluppate dai bambini dalla nascita in poi. Questo significa che ci sono alcune competenze numeriche che ognuno di noi sviluppa prima di accedere alla scuola primaria e che hanno una base innata. Mano a mano che il bambino cresce, sviluppa diverse competenze quali: subitizing (capacità di distinguere in modo rapido la quantità di un numero di oggetti), quantificazione, comparazione, seriazione e strategie di calcolo a mente. Queste sono le basi su cui poi si andranno a sviluppare le procedure esecutive che impariamo a scuola.

Esempi di Difficoltà nella cognizione numerica di base

Bambini e ragazzi che non abbiano sviluppato appieno queste capacità, possono, ad esempio, presentare difficoltà nell’ordinamento di numeri dal più piccolo al più grande su una linea immaginaria, avere difficoltà nel distinguere velocemente insiemi più o meno numerosi o avere difficoltà a distinguere quale numero è maggiore dell’altro.

Si può fare qualcosa per questo profilo di discalculia?

Sì! Nel caso in cui si notino alcune difficoltà sopra descritte, è possibile sia fare un accertamento delle abilità, sia impostare un percorso di potenziamento. Il percorso permetterà di migliorare e consolidare le basi. Dato che si tratta di abilità che dovrebbero essere innate, prima si agisce e meglio è al fine di agevolare i futuri apprendimenti scolastici.

Profilo 2: Discalculia e procedure esecutive

Il secondo profilo di discalculia, si riferisce invece a difficoltà relative alle procedure esecutive e alle difficoltà di calcolo.
Fanno parte delle procedure esecutive la lettura, la scrittura e la messa in colonna dei numeri. Fanno, invece, parte delle difficoltà di calcolo il recupero dei fatti numerici (tabelline e operazioni semplici) e gli algoritmi (regole) del calcolo scritto.

Esempi di difficoltà e procedure esecutive

Chi rientra in questo secondo profilo può presentare difficoltà nella lettura e scrittura dei numeri e confondere, ad esempio il 6 e il 9,  sbagliare nel mettere in colonna i numeri per eseguire le operazioni, avere difficoltà nel ricordare le procedure per eseguire i calcoli e avere difficoltà a ricordare anche le operazioni più semplici come le tabelline.

Si può fare qualcosa per questo profilo di discalculia?

Anche in questo caso la risposta è sì! E’ possibile intervenire, sia per valutare realmente le abilità, sia per potenziarle e aiutare i bambini e i ragazzi nelle procedure matematiche e nei calcoli.

Riassumendo…

Nel primo profilo descritto, si hanno difficoltà rispetto alle procedure di base che dovrebbero essere innate, nel secondo profilo invece si hanno difficoltà legate alle procedure esecutive.

La discalculia è diagnosticabile a partire dalla fine della 3° primaria, differentemente da dislessia e disortografia che possono essere diagnosticate a partire dalla fine della 2° primaria. Nonostante questo, è comunque possibile eseguire dei test che valutino i prerequisiti necessari per sviluppare correttamente le abilità numeriche e di calcolo.


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Dislessia e Difficoltà di Lettura

Sfatiamo i Falsi Miti e Facciamo Chiarezza

Dislessia e Difficoltà di Lettura

Si sente spesso parlare di Dislessia e di Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), ma c’è ancora molta confusione su cosa siano e, soprattutto, su come aiutare e cosa aspettarsi da bambini, ragazzi e anche adulti con DSA.
Per un approfondimento su cosa siano i DSA rimandiamo ad un articolo precedente, così come per l’approfondimento su come leggono le persone con dislessia.
In questo articolo cercheremo invece di sfatare qualche falso mito e qualche convinzione ancora presente.

Sfatiamo qualche falso mito sulla Dislessia!

“I ragazzi con dislessia hanno un’intelligenza sotto la norma”

FALSO! Bambini e ragazzi con dislessia o qualsiasi forma di DSA non hanno un’intelligenza sotto la norma. Anzi è proprio un criterio di esclusione, questo significa che il professionista prima di emettere una diagnosi di DSA, deve assicurarsi che l’intelligenza del bambino sia nella norma.

“Dislessici si diventa”

FALSO! Dislessici non si diventa, ma si è. E’, infatti, un disturbo del neurosviluppo. E’ possibile, tuttavia, che non ci si accorga immediatamente di questo disturbo se lieve e se il bambino attua già da solo alcuni metodi compensativi. Può tuttavia emergere in modo più severo con l’aumento delle richieste scolastiche.

“I bambini con dislessia non hanno voglia di leggere”

FALSO! Spesso a molti bambini con dislessia piace leggere, seppure fanno molta fatica.
La poca voglia di leggere da una parte è fisiologica, come per molti bambini a sviluppo tipico, dall’altra deriva dalla fatica che questi bambini fanno durante la lettura, portandoli a preferire l’ascolto del racconto piuttosto che la lettura.

“Se si è dislessici, non c’è più speranza”

FALSO! E’ possibile migliorare le capacità delle persone con dislessia o altri disturbi specifici dell’apprendimento. Prima si riesce ad individuare il disturbo, prima si può intervenire con un percorso mirato. E’ possibile migliorare anche per adolescenti e adulti!

“E’ vero che più si legge meglio è?”

Non proprio, questo può funzionare per un bambino a sviluppo tipico, ma non per un bambino con dislessia.

“Perché?”

La persona con dislessia non riesce ad automatizzare la lettura, leggere tanto non aiuta a renderla automatica perché prima è necessario lavorare su quello che sta sotto la dislessia come la memoria di lavoro e l’attenzione.

“Ragazzi con DSA devono scegliere scuole meno impegnative”

FALSO! I ragazzi con DSA devono scegliere la scuola che preferiscono, pensando al proprio futuro. L’importante è fare ogni anno un buon PDP (Piano Didattico Personalizzato) e seguire dei percorsi apposta per potenziare le proprie abilità e impostare un metodo di studio basato sui propri punti di forza.

Curiosità

Potenziamento Cognitivo o Aiuto Compiti?

E’ meglio un Percorso di Potenziamento o di Aiuto Compiti?

Potenziamento cognitivo o aiuto compiti?

Spesso si sente parlare di aiuto compiti, sostegno al metodo di studio e metacognizione e di potenziamento cognitivo, ma ancora più spesso non si comprende quale differenza ci sia e cosa sia meglio scegliere per il bambino.
Scopo di questo articolo è fugare ogni dubbio, una volta per tutte!

Si parla di aiuto compiti tutte quelle volte in cui il bambino viene seguito durante lo svolgimento dei compiti, chiarendo concetti complessi, spiegando informazioni poco chiare e riprendendolo nel caso di distrazione, senza tuttavia dare indicazioni su come studiare un testo e senza indicare strategie alternative di studio. Nell’aiuto compiti la relazione è spesso uno a molti.
L’aiuto compiti è pertanto un supporto indicato per tutti quei bambini che non hanno difficoltà di apprendimento e che hanno già un proprio metodo di studio consolidato e funzionante. L’aiuto compiti può aiutare il bambino a concentrarsi, organizzarsi e svolgere i compiti in un minor tempo proprio perché seguito da un adulto che interviene in caso di bisogno.

Si parla di sostegno al metodo di studio e metacognizione tutte quelle volte in cui il bambino o ragazzo viene seguito per trovare un metodo di studio adatto a lui, basandosi sui suoi punti di forza, divenendo consapevole delle strategie migliori per se stesso. In genere la relazione è uno ad uno, ma può anche essere uno a due, tre se i bambini sono piuttosto omogenei sia a livello di caratteristiche, sia a livello di età.
Il sostegno al metodo di studio e metacognizione è adatta a tutti quei bambini o ragazzi con o senza difficoltà di apprendimento che non abbiano ancora trovato un metodo di studio efficace da applicare. A differenza dell’aiuto compiti, pertanto, l’obbiettivo non è riuscire a concludere gli esercizi, ma trovare un metodo idoneo che il bambino possa applicare anche in autonomia a casa.

Si parla infine di potenziamento cognitivo tutte quelle volte in cui il bambino o ragazzo è seguito per potenziare alcuni aspetti legati ad attenzione, lettura, funzioni esecutive, memoria di lavoro,…tutte quelle componenti che sottostanno alle difficoltà di apprendimento. In questo caso la relazione è sempre uno ad uno poiché il potenziamento richiede estrema concentrazione e deve essere tarato sul bambino di volta in volta seguendone i progressi.
Il potenziamento cognitivo è adatto a tutti quei bambini o ragazzi con difficoltà di apprendimento e/o di attenzione che fanno fatica nei vari aspetti dell’apprendimento. A differenza del sostegno al metodo di studio, nel potenziamento cognitivo si lavora sulle difficoltà sottostanti al metodo di studio, aumentando le risorse cognitive del bambino.
Il potenziamento cognitivo deve essere effettuato regolarmente, in modo continuativo e progressivo al fine di ottenere buoni risultati perché si va a lavorare sulle funzioni esecutive.
A seguito o in parallelo al potenziamento cognitivo può essere affiancato un percorso sul metodo di studio, per imparare come affrontare lo studio o un percorso di aiuto compiti per lavorare sull’autonomia se si ha già un metodo di studio efficace.

Concludendo, possiamo affermare che la scelta del percorso dipenda esclusivamente dall’obiettivo che si vuole raggiungere e dalle abilità del bambino o ragazzo. Scegliere il percorso più adatto è fondamentale per portare progressivamente i bambini all’autonomia e all’indipendenza. E’ pertanto necessario scegliere sempre pensando al futuro e non al bisogno immediato. Malgrado sia difficile e scoraggiante impegnarsi in percorsi a lunga durata, spesso scegliere un percorso più impegnativo e più lungo nel presente, può portare a risultati migliori nel futuro. Dobbiamo sempre chiederci e, nel caso affidarci agli esperti, che cosa sia meglio per il futuro del bambino.

Curiosità

L’importanza di Spiegare

Nascondere o Spiegare?

Madre figli
Photo by Josh Willink on Pexels.com

Noi adulti, occupati dal lavoro, dalla casa e dagli affetti, spesso dimentichiamo cosa significhi essere bambini e più spesso ancora tendiamo a pensare che ci siano argomenti non adatti ai bambini. Pensando questo, cerchiamo di nascondere, di evitare, di non dire, ma è un comportamento corretto? Davvero esistono argomenti tabù per i bambini oppure c’è solo bisogno di un impegno maggiore per spiegare alcuni concetti?

Un po’ perché “sono piccoli, non capirebbero, non voglio spaventarli” e un po’ per mancanza di tempo e di energie, si tende spesso a non raccontare ai bambini cosa sta succedendo. Tuttavia dobbiamo ricordarci che i bambini sono empatici con le figure di riferimento, siano essi genitori, nonni o zii , e non riuscendo a dare una spiegazione a quello che vedono, sentono e percepiscono, possono iniziare a provare sentimenti di paura e incertezza.

Ma come si fa?

Se i bambini sentono quello che proviamo anche se cerchiamo di nasconderlo, se percepiscono i nostri dubbi e le nostre insicurezze, come possiamo tranquillizzarli senza addossargli maggior carico emotivo?

La risposta è molto semplice: parlare. Dobbiamo parlare sempre ai nostri figli, bisogna metterli al corrente di quanto stia accadendo, spiegare perché mamma e papà discutono. Il non detto può far sorgere domande, dubbi, paure e sensi di colpa nei bambini. Questo accade perché non riescono a trovare una spiegazione migliore a quanto stia accadendo.
Allora cerchiamo, con un linguaggio semplice, di spiegare loro che se mamma e papà discutono non è per colpa loro, oppure che papà è nervoso perché ha discusso con un amico,…

Spiegare il perché di ogni cambiamento di umore, sentimento o emozione è fondamentale, anche e soprattutto quando i bambini sono piccoli. I bambini, infatti, percepiscono qualcosa a cui non sanno dare un nome. Non sapendo di cosa si tratta, non riescono a gestirlo e si manifesta in loro come un’emozione spiacevole e non sanno come reagire. Allora, oltre a spiegare il motivo di una risposta sgarbata tra i genitori o di una discussione o anche di un momento di stanchezza o tristezza, cerchiamo anche di spiegare al bambino cosa lui stia provando in quel momento: hai sentito discutere i genitori e ti sei sentito in colpa o ti senti triste? questo è normale, ma non ti devi preoccupare perché non è successo nulla di grave o ancora quello che provi è rabbia, paura,….

Lo so che è molto più semplice far finta di nulla e nascondere ai bambini i nostri problemi, ma loro li percepiscono. Il rischio è che non siano in grado di gestirli e di digerirli da soli. Questo può portare a farli sentire in difetto, magari spaventati e rischiano di mettere in atto strategie comportamentali non consone alla situazione.

Curiosità

L'importanza di Spiegare

Nascondere o Spiegare?

Madre figli
Photo by Josh Willink on Pexels.com

Noi adulti, occupati dal lavoro, dalla casa e dagli affetti, spesso dimentichiamo cosa significhi essere bambini e più spesso ancora tendiamo a pensare che ci siano argomenti non adatti ai bambini. Pensando questo, cerchiamo di nascondere, di evitare, di non dire, ma è un comportamento corretto? Davvero esistono argomenti tabù per i bambini oppure c’è solo bisogno di un impegno maggiore per spiegare alcuni concetti?

Un po’ perché sono piccoli, non capirebbero, non voglio spaventarli, sono così innocenti ed indifesi, un po’ spesso per mancanza di tempo e di energie mentali e fisiche, ma si tende a non raccontare ai propri figli che cosa accada ai genitori o che cosa stiano passando. Tuttavia dobbiamo ricordarci che i bambini sono spesso empatici con le figure di riferimento, che siano genitori, nonni, zii o amici e non riuscendo a dare una spiegazione a quello che vedono, sentono e percepiscono, possono iniziare a provare sentimenti di paura e incertezza.

Ma come si fa? Se i bambini sentono quello che proviamo anche se cerchiamo di nasconderlo, se percepiscono i nostri dubbi e le nostre insicurezze, come possiamo tranquillizzarli senza addossargli maggior carico emotivo?

La risposta è molto semplice: parlare. Dobbiamo parlare sempre ai nostri figli, dobbiamo metterli al corrente di quanto stia accadendo in casa, il perché mamma e papà discutono, perché l’aria è tesa in casa. Il non detto può far sorgere domande, dubbi, paure e sensi di colpa nei bambini che non riescono a trovare una spiegazione migliore a quanto stia accadendo.
Allora cerchiamo, con un linguaggio semplice, di spiegare loro che se mamma e papà discutono non è per colpa loro, ma perché si stavano confrontando su altro, oppure che la mamma è stanca a causa del lavoro , papà è nervoso perché ha discusso con un amico,…

Spiegare il perché di ogni cambiamento di umore, sentimento o emozione è fondamentale, anche e soprattutto quando i bambini sono piccoli proprio perché percepiscono qualcosa a cui non sanno dare un nome, che non riescono a gestire e si manifesta in loro come appunto un’emozione spiacevole che non sanno cosa sia e non sanno come reagire. Allora, oltre a spiegare il motivo di una risposta sgarbata tra i genitori o di una discussione o anche di un momento di stanchezza o tristezza, cerchiamo anche di spiegare al bambino cosa lui stia provando in quel momento: hai sentito discutere i genitori e ti sei sentito in colpa o ti senti triste? questo è normale, ma non ti devi preoccupare perché non è successo nulla di grave o ancora quello che provi è rabbia, paura,….

Lo so che è molto più semplice far finta di nulla e nascondere ai bambini i nostri problemi, ma loro li percepiscono e il rischio è che non siano in grado di gestirli e di digerirli da soli, sentendosi in difetto, magari spaventati e mettendo in atto strategie comportamentali non consone alla situazione.

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Disturbo Oppositivo Provocatorio

Che cos’è il Disturbo Oppositivo Provocatorio

Disturbo Oppositivo Provocatorio - DOP

Negli ultimi anni, si sente spesso parlare di Disturbi del comportamento e del disturbo oppositivo provocatorio (DOP), soprattutto associato ai bambini, ma…che cos’è realmente il disturbo oppositivo provocatorio? E’ davvero un disturbo o solo un periodo di passaggio in cui i bambini sono particolarmente ostili?

Il Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) è un disturbo da comportamento distruttivo che comprende comportamenti consistentemente negativi, ostili e di sfida.
La maggior parte di bambini e ragazzi, attraversa fasi in cui risulta un po’ scontroso, capriccioso e in cui vuole avere sempre ragione, tuttavia solo quando queste tipologie di comportamenti oppositivi si cronicizzano, tanto da compromettere il proprio sviluppo, si cade nella patologia.
Il DOP pertanto, non è una fase di passaggio, ma un vero e proprio disturbo che può manifestarsi in alcuni bambini e ragazzi. Non ha nulla a che fare con il normale periodo dell’adolescenza in cui i ragazzi tentano di sfidare i genitori e anelano all’indipendenza.

I bambini che soddisfano i criteri diagnostici del DOP, sono in genere molto irritabili, tendono a perdere molto velocemente la pazienza, sfidano le regole continuamente, rifiutano di accondiscendere alle richieste degli adulti, litigano spesso con gli adulti, danno la colpa agli altri dei propri errori, …
In genere, i comportamenti associati al DOP esordiscono negli anni prescolari e persistono per tutta l’adolescenza.
Il DOP è spesso in comorbidità con il DDA/I, ovvero il Disturbo da Deficit di Attenzione con Impulsività e/o Iperattività.

E’ di massima importanza cercare di trattare il DOP, in quanto bambini e ragazzi che rientrano in questo disturbo, sono maggiormente portati a sviluppare condotte disadattive in età adulta.
Ci sono diversi approcci di trattamento, alcuni improntati solo sul bambino, altri solo sui genitori e altri ancora lavorano sia sul bambino, sia sulla famiglia.
Ovviamente ogni famiglia e ogni bambino sono diversi, pertanto non è possibile applicare lo stesso protocollo riabilitativo a tutti, ma si può affermare in maniera generale che un approccio che lavori sia sul singolo, sia sull’ambito familiare, sia da preferire rispetto agli altri.
Risultano molto utili protocolli di psico-educazione genitoriale e di parent training, associati eventualmente alla terapia individuale.

Bibliografia:
Hansell J. e Damour L., Psicologia Clinica, Bologna ,Zanichelli, 2014.

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Diventare Genitori

Vorremmo un Figlio, ma abbiamo Paura…

Genitori e Figli

Sempre più spesso, si ascoltano i racconti di coppie che, da una parte vorrebbero compiere il passo successivo alla convivenza, allargando il proprio nucleo familiare, ma che temporeggiano davanti alle paure.
Che si tratti di coppie giovani o meno giovani, la paura sembra essere maggiore rispetto a qualche decennio fa.

Da una parte troviamo le classiche paure. Quella di non riuscire ad essere dei bravi genitori, di anteporre i propri bisogni a quelli del bambino o di essere schiacciati dai bisogni dello stesso. Dall’altra parte, tuttavia, si trovano altre paure. Paure che erano presenti anche prima, ma che al giorno d’oggi sono estremamente pesanti.
Parliamo della paura di non farcela. Anche prima, le coppie avevano la paura dell’incertezza, ma la speranza di un futuro migliore vinceva. Un tempo le coppie, seppur timorose del futuro, decidevano comunque di allargare la famiglia. Non tutte le coppie erano sistemate a livello lavorativo, le difficoltà c’erano anche allora, tuttavia la percezione del futuro era diversa.

Oggi viviamo nell’incertezza. L’incertezza è divenuta una costante della nostra vita.
Da una parte la paura che il lavoro non sia così costante, dall’altra la responsabilità di mettere al mondo un figlio. In che mondo crescerà? Con che valori entrerà in contatto?

Mettere al mondo un figlio oggi, si tratta di egoismo o di altruismo?

In effetti dipende, poiché se un figlio nasce per necessità dei genitori, allora è figlio dell’egoismo, ma se un figlio nasce come frutto dell’amore, allora è figlio dell’altruismo. I figli dovrebbero essere il frutto del troppo amore, sì un amore così profondo della coppia che non può più essere contenuto nella coppia stessa e deve allargarsi.

Ma oggi, anche nel momento in cui l’amore è presente, anche quando il figlio sarebbe frutto di amore, anche lì forse non sarebbe altruismo rinunciare a quel bambino già nato nei pensieri dei genitori, già amato dai loro cuori? Non sarebbe forse più altruistico risparmiargli la sofferenza di questo mondo crudele, arido, soggiogato dalla tecnologia, ammaliato dai telefoni e dalle cose facili e veloci?

Ecco, questi sono i dubbi più forti e, per certi versi, un po’ diversi dalle generazioni precedenti, che affliggono le coppie. Al di là dell’aspetto economico, al di là delle paure legate alla capacità, ai sacrifici e alla salute, si aggiungono questi dubbi.

Dubbi se vogliamo strazianti, che non trovano una risposta semplice e che forse non trovano risposta punto, ma voglio provare a dare una risposta seppur forse scontata.
La vita è sempre stata difficile, le generazioni precedenti si facevano forse le stesse domande, è vero oggi alcune domande sembrano pesare di più, alcune paure non ci fanno dormire la notte, ma forse la speranza è proprio là. Forse sta proprio nell’affrontare le nostre paure e crescere i nostri figli con i valori che noi vogliamo dare, stando affianco a loro nell’affrontare questo mondo che sembra tanto duro. Ma è proprio credendo nel futuro che possiamo migliorarlo, è credendo già nelle potenzialità di quel bimbo che già esiste nelle menti e nei cuori dei suoi genitori, che noi diamo fiducia al mondo e cerchiamo di cambiarlo.